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venerdì 2 luglio 2010


COLONIE


Venerdì 16 luglio - alle 21e30 - Post42 torna in lettura con la performance
COLONIE - Cronache da un formicaio contemporaneo.
Nel cortile interno dello Spazio Gerra di Piazza XXV aprile, a Reggio Emilia,
Post42 ritrae tre sottopersonaggi, tre "colonie singole",
a metà fra formicaio quotidiano ed ataviche premonizioni.
Un professore di storia, un quindicenne, una jinetera moderna,
narrati sulle musiche di Zymogen Net Label e Filippo Aldovini,
e con le parti visuali di Marco Benisi.
COLONIE inaugura il progetto di interscambio culturale Ant Work
fra i comuni di Modena, Parma e Reggio Emilia.

L'ingresso all'evento è gratuito.


giovedì 17 giugno 2010


Si conclude - con i due testi di oggi - la pubblicazione dei brani per @lberi.

A luglio, a metà luglio, Post42 torna in lettura a Reggio Emilia,
con la performance COLONIE.

Continuate a visitarci.
Meglio se siete dottori.


Gabriele Bassanetti
- Addio nespole

Fede era una bambina con un dono. Poteva far crescere alberi di quel che voleva. Voleva un albero di biscotti, piantava biscotti, voleva un albero di bambole, piantava bambole. Prima dell’inverno piantava maglioni, prima dell’estate costumi da bagno. E alberi di gelati, caramelle, cd. Gli amici si facevano piantare alberi di figurine e soldatini.
I vicini di casa avevano notato gli alberi di Fede. Qualcuno cominciò a chiederle un albero di telefonini, chi un albero di mocassini, chi un albero di camicie. Poi se ne accorsero le persone importanti. I governanti facevano la fila: “Fede, fai un albero di soldi, così non ci saranno più poveri. Fede, fai un albero di medicine così non ci saranno più malati”.
Lei faceva. Ma volevano sempre più alberi. E i poveri c’erano ancora, i malati pure. Allora Fede si stancò e decise che avrebbe stabilito lei quali alberi fare.
Fece alberi di mele, pere, uva, pesche, ciliegie, arance e mandarini e ogni genere di frutta.
Ma le nespole no. Quelle proprio le detestava.


Patrizio Epifani

L’appuntamento era per le 5 del pomeriggio sotto il platano grande, quello subito a destra dopo il chioschetto dei gelati. Fausto quel giorno decise di non pranzare. Passò la maggior parte del tempo a rileggere il messaggio di Luisa ’82 nella mail, così, tanto per non sbagliare orario o parco o anche solo per essere certo di non aver sognato tutto. Quando fu sicuro al 100%, si ficcò sotto la doccia e ci rimase più di 20 minuti. Alle 2 e 40, profumato e in anticipo di oltre 2 ore, Fausto era sotto il platano. Si portò dietro Il grande Gatsby, ma non riuscì ad andare avanti nemmeno di una pagina. Il parco lo distraeva. A un certo punto, mentre osservava una coppia di ragazzi che mangiava un gelato, gli si avvicinò una ragazza, bellissima.
Eccola, pensò, è Luisa. Quando lei gli fu abbastanza vicino, gli chiese l’ora.
Le 7 e mezzo, rispose lui forzando un sorriso. Mentre la ragazza si allontanava e Luisa ’82 se ne rimaneva nella propria vita, una foglia cadde ai piedi di Fausto.
L’autunno era arrivato, meglio tornare a casa.

mercoledì 16 giugno 2010


Graziano Gattone

Io odio gli alberi. Odio la corteccia le radici e i rami, le foglie, le gemme, le infiorescenze, i frutti e il verde melograno a cui tendevi la pargoletta mano. Stanno lì, fermi; spesso rovinano il paesaggio, nascondono il bello e a starci sotto ti può cascare in testa una pigna o un cocco. Tutti assieme coprono il cielo, fanno foreste invalicabili, umide muffose e vermose, strisciate da un brulichio fastidioso e volatile che pizzica, punge, a volte avvelena.
Gli alberi sono pericolosi: ci vai a sbattere con la macchina e sono soldi e magari fratture o cassa da morto, ti ripari da un temporale e zac! un fulmine; ci fai sotto l’amore e zac! un figlio.
Senza alberi saremmo ancora lì, nel giardino dell’Eden: dove cazzo si prendeva la mela senza melo?
Magari una volta, ma oggi…
Per l’ombra ci sono gli ombrelloni, i padiglioni, le tensostrutture. Ci si può sbizzarrire: leggerezza, colori e fantasia. Il legno ormai è obsoleto, scomodo; non dà garanzie, è deperibile, instabile, anche brutto, non mentiamoci.
Il noce, l’ebano, il rovere, l’acero, il pino, per piacerci vengono sbiancati, colorati, drogati, strinati.
Plastica, laminati, cemento metalli cristalli, ecco il futuro delle case, del mondo.
E poi credetemi, gli alberi inquinano le menti!

lunedì 14 giugno 2010


Rubens Coppi
- Una barca di soldi

Raccoglievo amarene dall’albero e mi ritornò alla mente un mio compagno delle elementari che si chiamava Pino, sua madre Rosa e il nonno Olmo. Era la famiglia più danarosa della zona. Mi arrampicavo sull’amareno immaginando quanto bello sarebbe stato avere una barca di soldi come la famiglia di Pino. Il giorno dopo ho vinto mille euro alla lotteria. Meglio metterli subito su un conto corrente, pensai, ma il direttore mi disse che per la mia barchina di soldi più che una banca mi serviva una banchina. Così sono andato al porto. Ho cercato un cassiere ma ho trovato solo un armatore che mi ha puntato le armi e ha preso il largo con la mia barca di soldi. Purtroppo per lui ho sempre scialacquato i miei averi. I creditori arrivarono come squali alla mia barca di soldi e se la ripresero con gli interessi. Coperti i debiti è rimasto solo l’albero maestro, che ho piantato in giardino. Ma si sa, i soldi non crescono sugli alberi e quindi io me ne sto qui su in vedetta a mangiare amarene e a pensare come fare un’altra barca di soldi.


Stefano Serri
- Scendere

Da qui vi vedo tutti. Vedo te che sbadigli e te che butti la carta per terra, maleducato. E non farmi la foto con il telefonino! Anche se sono soltanto un gatto steso qui, sul ramo di un albero, non dovete pensare che passo le giornate a puntare gli uccelli e leccarmi il culo senza sosta – che poi si consuma a leccarlo troppo, dicono. Vedo il dottore che fa ricette ai suoi pazienti perché ha le percentuali sulle vendite; sento il politico che alza la voce quando accetta la tangente. Guardate quello come corre ai novanta in centro senza paura, tanto l’auto è azzurra.
Per voi? Scendere da qui? Non ci pensavo proprio, finché di fronte al mio albero preferito non ho visto una ragazza, così pallida e magra, alla finestra di quella casa che chiamano ospedale.
Si affacciava senza smettere di tremare. Tremare, capite? Tremare senza potersene andare via. È stato un gesto naturale, sì, scendere dal ramo e salire da lei.
Con tutto il pelo che mi ritrovo riuscirò pure a scaldare qualcuno.


venerdì 11 giugno 2010

Altri due testi:
un aforisma, assimilabile per atmosfera ad un haiku;
un'altra prosa poetica, piena, realmente gustosa, sonora.
Grazie di nuovo a scrittori e lettori.


Fabrizio Loschi

Un albero è sempre un'idea della terra
rubata agli appunti del vento.


Francesco Genitoni
- Nuvole bianche

Una buona primavera ha portato una fioritura stupenda Le piante delle amarene – una decina in fila - sono una spuma di fiori vellutati gonfi a manicotti palle ciuffi serici Esaltati dal sole profumano di morbida pelle profumata Dentro la nuvola bianca un rumore rotondo un rombo un mondo d’api di bombi e altri piccoli insetti eccitati
Mia madre 85 anni intravista stamattina nel corridoio bianca in faccia braccia sottoveste gambe capelli ricresciuti gonfi bianchi dopo le forti cure pareva anch’essa una nuvola bianca
Le ho chiesto di mettersi davanti alle piante delle amarene Meli e peri fioriti il campo di tarassachi gialli come tanti piccoli soli colorano di biancorosso verde e giallo lo sfondo
Lei non mi chiede il perché Sa che vogliamo aggiornare la foto di anni fa davanti la nuvola rosa dei mandorli in fiore
Un colpo d’aria s’infila nella nuvola bianca e piove a terra una fitta nevicata di petali bianchi tondi ondeggianti come sottili sorrisi La foto è venuta bene Quest’anno avremo molte amarene sugose rosse

giovedì 10 giugno 2010

Altri due testi di @lberi: uno di Rolando Gozzi, e l'altro pure;
uno inviato a suo nome, l'altro - riveliamo un retroscena - sotto lo pseudonimo Shantina85, particolare sciccoso e mocciano che ci ha deliziati.
Buon divertimento.

Origini

“Mamma, mi aiuti? Devo fare un tema sulle nostre origini”
Börje, ferma sulle sue 4 gambe, guarda le 5 sorelle e commenta:
“Noi le sappiamo le nostre origini: i boschi dello Småland, in Svezia”
Norden le sovrasta autoritario, e aggiunge:
“Tutti veniamo dai boschi dello Småland, vero Billy?”
Billy riflette; nutre qualche dubbio sulle sue origini; a volte pensa di essere stata adottata. Lei non ha un nome scandinavo, ha un nome da maschio. Eppure lei è una femmina.
Lei è una libreria.
Nyttja, la cornice, annuisce.
Romilde, la cassapanca, ascolta i discorsi dei giovani; ne ha sentiti nel corso degli anni. Ricorda quando i genitori della bambina, in vista delle nozze, erano caduti nella trappola “Aiazzone, Provare per credere” Ricorda quelli acquistati dai nonni a Cerea.
“La camera da letto deve durare una vita” - e quella era ancora al suo posto.
Ricorda gli altri che come lei erano nati dalle mani di sapienti artigiani 2 secoli prima.
E ricorda il bosco dove un tempo era stata solo un Albero.
Peccato che di quel bosco, come di tanti altri, non ci sia più traccia.


San Remo

Il cyborg sale sul palco del Teatro Ariston e annuncia:
“Benvenuti alla 99esima edizione del Festival della Canzone Italiana conduce Pippo Baudo”
L’ultracentenario presentatore è in una forma sfavillante.
Entra il 1° cantante in gara: è Elisa Krik, la vincitrice di Amici 48; la Krik indossa un abito Armani.
Armani – morto un mese fa – ha poi cambiato idea, e con l’aiuto del farmaco Replay è tornato a vivere.
Pippo accoglie l’artista:
“Elisa parlaci del pezzo, il testo è tuo, vero?”
“Sì, grazie; è una canzone che parla di quando crescevano ancora gli alberi naturalmente, di quando la gente soffriva per l’asma provocata dai pollini e di quando gli uccellini nidificavano sopra di essi. Ora gli unici alberi sopravvissuti sono quelli piantati 50 anni fa nelle aiuole dei parcheggi dei centri commerciali”
“Grazie. Di Bedini – Krik – Bedini, ALBERI; canta: Elisa Krik”
Uno spettatore si alza ed esplode 5 colpi di pistola in pieno petto al presentatore.
Si era già visto nel 2039 e nel 26, ma la gente prova sempre un brivido, quando muore Pippo Baudo.

mercoledì 9 giugno 2010

Yuri Ferrante - A parti invertite

“Sventola la bandiera bianca, si capisca che siamo in pace. Non vorrei che queste teste vuote, se possiamo definirle teste… ”
Non fece in tempo a finire la frase, e fu la sua testa a volare via.
Il movimento dell’ascia fu veloce e silenzioso.
Il ragazzo con la giubba verde decise comunque di sventolare quel brandello di camicia bianca usato come bandiera. Con la coda dell’occhio vide il corpo del compagno accasciarsi a terra.
“Fermi, fermi, siamo in pace santo cielo!”
Prese la parola il più anziano del gruppo, che saggiamente, fino a quel punto, aveva chiuso la fila: “Siamo qui per parlare.”
Ma gli alberi non avevano niente da dire.
Ora che avevano capito quanto la pelle umana fosse comoda per pulirsi la corteccia, adesso le parti si erano scambiate.
Ora che le radici si muovevano come gambe e che i rami impugnavano accette, adesso erano loro i taglialegna.
Anche se sarebbe stato più corretto definirli tagliaossa.
Non abbiamo mai parlato quando ci abbattevate – pensò la sequoia.
La lama attraversò l’aria, e divise artisticamente in due, all’altezza del busto, il ragazzo con la giubba verde.

martedì 8 giugno 2010

Karim Ayed - Gomma-pane

Busso alla porta aperta dell'Ufficio Personale.
“Ah, Gerlandi!” - si sorprende bonario Cialli benché m'abbia convocato lui.
La sua mano menziona la sedia, mi siedo.
Ha davanti un foglio con un diagramma ad albero disegnato a matita. In cima, una casella col nome dell'Ingegnere, fondatore e presidente della nostra piccola ditta. In mezzo, una casella con il nome del figlio. Sotto, alcune caselle appaiate: in una c'è scritto Cialli e in un'altra il nome del mio capo. Da quest'ultima parte una riga che si dirama in otto caselle.
In una c'è scritto Gerlandi.
“Sa cosa succede, Gerlandi?” – mi invita Cialli. Ma non aspetta e prosegue: “Succede che c'è la crisi, e... ”
Prende una gomma-pane e cancella la mia casellina, fissandomi con un sorriso sordo.
“E ora, Gerlandi?”
“E ora?” - balbetto io, con la paura che da in fondo al cuore mi annerisce la mente.
“E ora, lei che era lì – dice indicando con dito scintillante il vuoto sbiadito della mia ex-casellina – “adesso è qui” - dice aprendo generosamente la mano verso gli sporchi gnocchetti di gomma-pane.

lunedì 7 giugno 2010

Altri due testi di @lberi:


Marcello Micheloni
- Paterno*

Mio padre quando è fiero di mostrarci qualcosa fa un’altra faccia. Quella volta lì no. L’idea era bella, niente da dire: un suo amico gli aveva messo su pergamena “le origini certe - sosteneva - della nostra famiglia”, con tanto di stemmi recuperati chissà come. Prima scritta: “Il ramo della nonna paterna risulta essere sassolese al 100%”. Cosa direi vera. Seconda scritta: “Il ramo del nonno paterno risulta essere sassolese al 100%”.
Mio nonno era abruzzese.
Da qui, in linea di massima, la faccia perplessa di mio padre. Di mio nonno ricorderò sempre che mi chiamava Marcellino nonostante io sia alto due metri; che non invitava mai la nipote femmina alle spaghettate e così noi giù che la prendevamo in giro; che mi ha fatto credere per 20 anni di avere una pallottola in un dito. Mio nonno non ha mai preso la cadenza emiliana. Mai. Zero di zero. In tanti tendono a mischiare l’accento d’origine con quello nuovo. Lui no. Ma mica per fare il fenomeno. Semplicemente non gliene fregava niente. Vacca boia, mi manca per questo.

*Paterno (TE) è il paese di 40 abitanti dove viveva mio nonno


Alessandra Stradella
- Metamorfosi

Amami. Chiedevo questo. Amami. Invocavo la morte. Immobile. I capelli mossi dal vento. Il corpo rigido quasi fosse di legno. Un cuore trafitto. Piangente. Soltanto desolazione intorno. Nessuno per me. Nessuno ad abbracciarmi. Voglio essere incisa da un cuore. Chiedevo questo. Alienata dal mondo. In piedi contro il vento. Sola. Lacrime taglienti. Il mio viso inconsapevole dei solchi creati dall'acqua. Sentivo la vita scorrere e arrivare fino ai miei piedi. Sotto terra nascondersi. Tra fango e vermi. Dentro le vene sangue. Lo sentivo. Cambiare colore sotto la mia carne. Diventare linfa. Respingevo l'ossigeno. Anidride carbonica. Chiedevo questo. Respiravo a fatica. Polmoni chiusi. Implosione di tristezza. Amami. Chiedevo questo. Soltanto amore prima del silenzio. Poi quella ruvida durezza. Quella corteccia a ricoprirmi le gambe. Rigida emozione. Non un solo movimento. Un grido. Soffocato, intermittente. Al vuoto. Un’eco distorta. E poi braccia contro il sole. Mani di rami che graffiano il cielo. E sotto, le radici. La vita.

sabato 5 giugno 2010

Samantha Marra

Ricordi i pomeriggi passati in esplorazione? dopo scuola, mangiare un boccone al volo e poi via di corsa dentro quell'universo parallelo, così vicino, così lontano?
Ed eccolo lì in tutta la sua maestà, e tu davanti a lui con quella voglia irresistibile di arrampicartici sopra.
A seconda delle volte era una casa, un fortino, un rifugio, e in qualche rara occasione, persino un cantuccio tranquillo dove fare i compiti senza troppe storie. Le formiche che trovavi a passeggiare sul tuo corpo, come se fosse semplicemente un'estensione dei suoi rami, non ti infastidivano. La tua schiena appoggiata su quel tronco duro non era poi così dolorante. Il rumore delle foglie mosse violentemente dalla brezza primaverile aveva l'effetto di calmare la tua giovane anima agitata. L'odore intenso della resina che colava come sangue da una ferita ti dava la convinzione che l'estate non sarebbe finita. Mai. Sfoggiavi con orgoglio i graffi provocati dalle sue schegge sporgenti come fossero cicatrici di guerra. Ricordi?
No, oggi sei qui per abbatterlo.

venerdì 4 giugno 2010

Lucia Taccini - L’appeso

L’appeso sorride

lui e la Vita
semplicemente
non si erano capiti

giovedì 3 giugno 2010

Giovanni Massari - Alberi

L'unica copia l'aveva lui, se non l'han buttata via i suoi nel trasloco. L'ALBERO era la “creativa sofisticata” del Mahahahahaha: una presa per il culo del giornalino di classe. Se conti che eravamo in IV elementare e lui aveva scritto un articolo su come mettere la marijuana nel carburatore dell'automobile e poi attaccarsi al tubo di scappamento a respirare. Oppure, come idea-gadget del giornale, una bustina di farina come fosse cocaina. L'ALBERO (cioè Andrea Alberini) (lo conoscete?) curava l'oroscopo che si chiamava in realtà "oroscodroga", dove alla fine ogni segno zodiacale doveva farsi di qualcosa. Io e il GEPPE facevamo le interviste idiote, come quella a BRESCIA sulla questione di cosa provasse ad abitare a Mantova. L'idea era semplicissima: facevi domande e trascrivevi paro-paro le risposte. Poi c’eran le solite rubriche di attualità (commenti idioti alle notizie) e cucina (curata dal BINCHI) di cui ricordo una perla come "toponi fritti alla vomitaia".


Firmato,
il LISO

mercoledì 2 giugno 2010

Andrea Izzo

Mud venne rinchiuso in manicomio il giorno in cui scoprì, risalendo il suo albero genealogico, di essere una mandragora.
La notizia scioccante non fu tanto il fatto di essere una creatura a metà fra regno vegetale e animale, e neanche quella di esser nato dallo sperma di un morto impiccato, bensì il fatto di aver speso 30 dollari, quello stesso pomeriggio, per mangiare una bistecca di manzo con insalata e scoprire – poche ore dopo – di avere un pezzo di zio incastrato in mezzo ai denti.
Epilogo: pensaci bene due volte prima di passare la giornata a risalire il tuo albero genealogico.
E se prendi una bistecca di manzo, ricorda sempre di prenderla - per sicurezza - con le patatine fritte!

martedì 1 giugno 2010

@lberi prosegue, si dirama sulla Rete.
Post42 ringrazia quanti hanno creduto in questa idea,
l'idea di avvicinare più scritture in un momento di lettura collettiva.
Da oggi, e per i prossimi venti giorni,
pubblichiamo quindi i testi degli autori
scelti per @lberi di sabato 22 maggio.

Buone ramificazioni.


Guido Cornara
- Alberi

Non so niente di alberi. Come di fiori. Non so quando si mangiano le arance, né quando è il momento delle pesche. Il regno vegetale per me è in gran parte inesplorato. Ad esempio, il fico sembra solido, con quei grossi rami nodosi. Invece è insospettabilmente fragile.
La quercia è solida, questo lo so. Infatti si dice: "Solido come una quercia." Il problema è che io non sarei mai in grado di riconoscerla, una quercia. Neanche se ci andassi a sbattere contro. Capace che penso sia un salice, un pioppo, una betulla, invece è proprio una quercia.
Per questo, buon uomo, lei che è sicuramente più pratico di me, saprebbe dirmi se è una quercia questo grande albero dall'apparenza così solida? Affermativo. E quindi posso fidarmi del fatto che la sostanza, in questo caso, corrisponda in toto all'apparenza, non è vero? Suvvia, non mi guardi così. Ora la ringrazio, può proseguire la sua passeggiata.
Andato. Non ho bisogno d'altro. Non so distinguere un cipresso da un banano, ma una corda bella resistente la so riconoscere, eccome.